La guerra silenziosa su Bitcoin

Un tempo le crypto erano una narrativa. Oggi sono una voce di bilancio. Riserve, flussi regolati, strumenti fiscali.

Negli Stati Uniti, si moltiplicano le iniziative legislative per la creazione di Bitcoin reserves pubbliche. In Texas, il disegno di legge SB 21, già approvato dal Senato e da una commissione della Camera, è in attesa del voto finale in aula. La proposta istituirebbe la “Texas Strategic Bitcoin Reserve”, che autorizzerebbe investimenti in asset digitali che abbiano raggiunto una capitalizzazione di mercato di almeno 500 miliardi di dollari negli ultimi dodici mesi. Un requisito che, al momento, include solo Bitcoin. In Arizona, è stato approvato un fondo budget-neutral per custodire crypto abbandonate, da mettere in staking. Il New Hampshire ha varato una norma che consente l’investimento diretto in asset digitali a fini di riserva. Tutto questo mentre ad inizio anno anche il presidente Trump aveva firmato un ordine esecutivo per l’istituzione di una riserva nazionale di Bitcoin. È un messaggio forte: gli Stati Uniti vogliono che BTC diventi parte del linguaggio istituzionale del potere, non solo della finanza alternativa.

Ma non tutti seguono questa strada. Il Regno Unito, ad esempio, ha dichiarato apertamente di non voler istituire una riserva strategica nazionale in BTC. “Non è appropriato per il nostro mercato”, ha spiegato il governo, lasciando intendere una linea più prudente: Bitcoin, con la sua volatilità, non soddisfa i criteri di stabilità richiesti per una riserva ufficiale. Eppure, nei bilanci pubblici già compaiono 61.245 BTC, frutto di confische legate a casi giudiziari. Valore attuale? Oltre 6 miliardi di dollari. Un patrimonio silenzioso, presente ma non strategico. Come se il Regno Unito non sapesse ancora cosa farsene.

Portafoglio Bitcoin del governo del Regno Unito: 61.245 BTC per un valore di oltre 6 miliardi di dollari,

La Germania, invece, ha già scelto: ha liquidato quasi tutto. Nel 2024, Berlino ha venduto circa 50.000 BTC sequestrati, incassando circa 2,9 miliardi di euro. Una mossa rapida, pensata per monetizzare un asset ritenuto scomodo. Ma col senno di poi, il tempismo si è rivelato poco lungimirante. Oggi quegli stessi Bitcoin varrebbero quasi 5 miliardi di euro. Un’occasione persa da quasi due miliardi. Scelte fiscali, certo. Ma anche una perdita di opportunità evidente.

Portafoglio Bitcoin del governo tedesco su Arkham Intelligence: solo 0.0069 BTC rimasti nel 2025 dopo un picco di oltre 50.000 BTC nel 2024, probabilmente liquidati

Negli Stati Uniti, invece, Bitcoin (ma non solo) è diventato un elemento di politica economica. Con l’ordine esecutivo firmato nel 2025, la Casa Bianca ha istituito la Strategic Bitcoin Reserve, congelando oltre 198.000 BTC sequestrati, oggi pari a quasi 20 miliardi di dollari. Una visione di lungo termine, che riconosce Bitcoin come una nuova forma di riserva sovrana. Il contrasto è netto.

Portafoglio crypto del governo degli Stati Uniti su Arkham Intelligence: 198.012 BTC per un valore di 19,59 miliardi di dollari, con asset aggiuntivi in ETH, USDT, BNB e stablecoin, e storico di accumulo visibile dal 2014

Tutto questo accade mentre il principale ETF spot su BTC, l’IBIT di BlackRock torna a superare, per flussi raccolti da inizio anno, il più grande ETF sull’oro al mondo, il GLD. Circa 7,3 miliardi di dollari in ingresso da gennaio, contro i 6,5 del ETF SPDR sull’oro, nonostante una performance del metallo giallo del +28%.

Grafico eToro che mostra come i flussi ETF su Bitcoin (IBIT) tornino a superare quelli su Oro (GLD) nel 2025: 7,34 miliardi per IBIT contro 6,45 miliardi per GLD al 7 maggio

Il grafico della dominance parla poi da solo: Bitcoin vale oggi oltre il 65% della capitalizzazione totale del mercato crypto, un livello che non si vedeva dal 2021. Tutto questo mentre la volatilità storica a un mese di Bitcoin è scesa ai livelli più bassi da oltre due anni, inferiore anche a quella dell’oro. Un dato che non misura l’entusiasmo retail, ma l’ingresso crescente di capitali istituzionali con orizzonti di investimento più lunghi e meno reattivi.

Grafico eToro sulla volatilità a 1 mese: Bitcoin (23,92) più stabile di S&P 500 (39,59) e Oro (28,02) al 7 maggio 2025, segnalando una volatilità invertita rispetto agli asset tradizionali

Ma il cuore della storia non è solo Bitcoin. Per la prima volta, anche Solana entra nei radar aziendali come asset strategico. Tre aziende quotate (Upexi, SOL Strategies, DeFi Development Corp) hanno annunciato acquisti per oltre 724.000 token SOL, pari a circa 107 milioni di dollari. Una quota marginale dell’offerta (0,14%), ma un segnale potente: si sta tentando di costruire una “MicroStrategy su Solana”, con logiche simili: accumulo, staking, validazione.

Nel frattempo, Ethereum cerca di ritrovare centralità. Il tanto atteso Pectra upgrade è andato live il 7 maggio, introducendo innovazioni tecniche sostanziali: wallet programmabili, possibilità di pagare fee con token diversi da ETH, batch di transazioni, aumento dei limiti per i validatori fino a 2.048 ETH. Una vera infrastruttura per rendere Ethereum più istituzionalizzabile. Eppure, il mercato sembra guardare altrove. Il rapporto ETH/BTC è crollato sotto 0,02, segnando i minimi dal 2021. Anche in dollari, ETH resta sotto tutte le medie mobili di lungo periodo, segno che il mercato, almeno per ora, nonostante il rialzo odierno, non compra la narrativa dell’upgrade. È il paradosso Ethereum: mentre evolve in direzione enterprise, perde momentum relativo. Un gap tra struttura e percezione che non è detto resti aperto a lungo, ma che oggi pesa.

In ogni caso, il dato centrale è un altro: il mercato crypto si sta evolvendo tra etf, stati, e aziende. I bilanci parlano una lingua nuova: quella della riserva digitale. Tutto questo mentre Bitcoin tenta nuovamente di riportarsi sopra i 100.000 dollari.