Un martedì difficile per i mercati globali, segnato da un’ondata di vendite diffusa e da un sentiment in evidente affanno.
L’S&P 500 ha chiuso in calo dell’1,17%, mentre il Nasdaq 100 ha perso il 2,07%, la sua seconda peggior seduta degli ultimi sei mesi. In Europa, lo Stoxx 600 ha ceduto lo 0,30%, con Francoforte in ribasso dello 0,76%, Parigi dello 0,52%, Amsterdam dello 0,18%, mentre Madrid è rimasta invariata e Piazza Affari ha chiuso in lieve controtendenza a +0,09%, sostenuta dal settore utilities e dai conti di Lottomatica e Ferrari.
Anche gli asset rifugio e alternativi non sono rimasti immuni. L’oro è sceso dell’1,33%, tornando sotto quota 4.000 dollari, mentre il Bitcoin ha perso il 4,7%, toccando brevemente livelli inferiori ai 100.000 dollari.
Dietro i numeri, tuttavia, non c’è stato un vero motivo per il sell-off. Più che a un evento isolato, abbiamo assistito a un segnale di stanchezza generale. Dopo una lunga corsa al rialzo, il mercato ha mostrato un calo di momentum su più fronti: dall’oro alle crypto, dai titoli tech ai nomi legati all’AI. Il tutto in un contesto in cui anche le trimestrali positive faticano a essere premiate. Basti guardare ieri ad Uber e Palantir, entrambe in forte calo, nonostante abbiano superato le attese. Un chiaro segnale che il mercato non reagisce più alla forza dei numeri, ma al contesto di aspettative già eccessive e di valutazioni tirate.
Il movimento di ieri ha avuto il suo epicentro nel settore tecnologico, in particolare tra i titoli hardware e semiconduttori: Micron -7%, Intel -6%, Nvidia -4%, mentre i grandi nomi del cloud hanno tenuto meglio. Il Dow Jones ha poi perso solo lo 0,5%, e il comparto bancario ha chiuso in rialzo, confermando che non si è trattato di un sell-off macro.
A pesare, inoltre, l’assenza di dati macro per lo shutdown: è stato confermato che i Non-Farm Payrolls non saranno pubblicati per il secondo mese consecutivo. A ciò si aggiungono preoccupazioni sul fronte bancario, sulla liquidità e sul credito, oltre a multipli che restano su livelli elevati. Tutto questo in un mercato che da 113 sedute non registra una correzione di almeno il 5%.
Il risultato è un naturale rallentamento: gli investitori iniziano ad alzare il piede dall’acceleratore, ma senza toccare il freno. Non ci sono segnali di panico nei flussi. Più che una fuga dal rischio, quella di ieri sembra una pausa di respiro in un mercato surriscaldato, dove la fiducia sta lasciando spazio alla cautela, senza che la narrativa di fondo sia ancora cambiata.
Sul fronte crypto, la situazione non è meno interessante. Il mercato complessivo delle criptovalute, calcolato in base alla capitalizzazione totale, è entrato ufficialmente in bear market dal 6 ottobre.
Un’inversione che si accompagna a un’anomalia storica: il Bitcoin ha chiuso ottobre in negativo, mancando quello che nel gergo del settore viene chiamato “Uptober” – un ottobre tradizionalmente favorevole per le crypto. È accaduto solo quattro volte nella storia passata, e in tre di quei quattro casi, il Bitcoin ha poi chiuso l’anno in calo.
Un dato che invita alla prudenza, anche se oggi il Bitcoin rimbalza di circa l’8%, mostrando come la volatilità resti il suo tratto distintivo.
Il bull market del Bitcoin resta però per ora intatto, sebbene in bilico (siamo ad un -19% circa di correzione) con una durata di 211 sedute, contro le 102 del 2024 e le 184 del 2023 (o le 234 tra novembre 2022 e luglio 2023). Una longevità che segnala sì la forza del trend, ma anche il rischio crescente di esaurimento.
Per ora, i supporti tecnici continuano a reggere, ma tra prezzi vicini ai livelli chiave, leva finanziaria elevata e durata, sarà cruciale osservare come evolverà la narrativa nelle prossime settimane.

Ed è proprio la leva oggi a rappresentare il principale fattore di rischio. Le mappe sui contratti BTC/USDT di Binance mostrano un forte accumulo di posizioni ad alta leva (50x-100x) nella fascia 100.000-105.000 dollari: livelli che coincidono con un vero “muro tecnico”.

Se il prezzo dovesse scendere sotto i 100.000 dollari, potrebbe innescarsi una cascata di liquidazioni forzate – una sequenza automatica di vendite che amplifica il movimento ribassista. Al contrario, un rimbalzo sopra i 105.000-110.000 innescherebbe lo scenario opposto: uno short squeeze che obbligherebbe molti trader a ricoprirsi in fretta, alimentando un rally improvviso.
In entrambi i casi, la volatilità resta elevata e il margine d’errore per chi opera con leva è minimo. Dopo oltre duecento sedute consecutive di rialzo, forse la domanda giusta non è più “quanto può salire ancora”, ma “quanto pausa potrebbe necessitare”.


