Dazi, rally e Ferragosto: mercati globali tra euforia, rischi e diplomazia

Nella settimana che ha segnato l’entrata in vigore del nuovo pacchetto di dazi USA, le borse globali hanno regalato agli investitori una performance che sembra quasi una provocazione. Madrid avanza del 4,94%, Milano segue a +2,28%. Ma il dato più interessante non è tanto la forza dei rialzi, quanto la loro persistenza: le due piazze, infatti, hanno inanellato tutte le sedute della settimana in territorio positivo, una rarità nei principali listini globali. Per Madrid si tratta della terza settimana  da en plain del 2025 (mentre il record, sei settimane verdi di fila, resta imbattuto dal 2023), mentre per Piazza Affari è la seconda dell’anno, a fronte di un massimo storico di tre serie consecutive, l’ultimo dei quali registrato nel 2023. Il merito va soprattutto ai titoli finanziari, tornati in auge sia per la qualità degli utili che per la capacità di attrarre flussi.

Ma proprio qui, quando l’euforia sembra voler scalzare la razionalità, la storia suggerisce cautela.

La settimana di Ferragosto: la statistica contro il consensus

Se c’è un periodo dell’anno in cui il mercato italiano assomiglia a una trappola, è la settimana di Ferragosto. Basta osservare il mosaico di dati raccolto negli ultimi dieci anni: la trentatreesima settimana (quella che oggi prende il via) ha visto il FTSE MIB chiudere in positivo solo nel 30% dei casi. La probabilità di successo è tra le più basse di tutto il calendario settimanale. Ma non è solo una questione di “rosso” e “verde”: la performance media è negativa -0,69%, mentre la mediana crolla a -1,86%, dato che ne fa la settimana peggiore dell’anno per il listino italiano. È il classico esempio di “rischio senza rumore”: quando il mercato sembra fermo e scarico, spesso basta poco per innescare ribassi diffusi. Ferragosto non porta solo caldo, ma anche rischi di oscillazioni amplificate e movimenti di prezzo che rispondono più all’inerzia dei pochi operatori attivi che a una reale presa di posizione sul quadro macro.

Stati Uniti: la stagione delle trimestrali premia la qualità, ma il rally è “Mag7-dipendente”

Lo S&P 500 ha invece archiviato la settimana con un rialzo del 2,43%, quasi cancellando il -2,36% accusato in precedenza e tornando a puntare verso nuovi massimi storici: sono quindici i record toccati da inizio anno, con l’ultimo il 28 luglio. L’indice, misurato tramite l’ETF VOO, guadagna il 2,72% nell’ultimo mese.

Qui la narrazione è chiarissima: l’intero progresso è figlio delle Magnifiche 7. La loro contribuzione spiega praticamente tutto il rialzo mensile (+270bp su +272bp dell’indice), e solo Berkshire Hathaway, tra i grandi nomi per peso, resta in negativo. L’informazione che cambia la prospettiva per l’investitore è che, ancora una volta, la profondità del rally USA resta un tema aperto: pochi titoli fanno il mercato, il resto segue o addirittura frena.

Il tema utili, però, offre un’immagine di robustezza difficilmente contestabile. Su 452 società dell’S&P 500 che hanno già pubblicato i risultati del secondo trimestre, oltre l’80% ha battuto le stime (dati LSEG), dato che supera sia la media storica (67%) sia quella degli ultimi quattro trimestri (76%). Gli utili crescono del 13,2% anno su anno, addirittura del 14,8% escludendo l’energia; i ricavi avanzano del 6,2%. Information Technology e Communication Services sono i veri propulsori della crescita (IT +22,8% utili, +15,6% ricavi; Comunicazione +49% utili), mentre l’energia arretra, pagando la normalizzazione dei prezzi e il ridimensionamento dei margini.

Non solo, la percentuale di revisioni positive sulle stime dell’S&P 500 è salita al 71% nell’ultima settimana, segnale di una fiducia crescente nel prosieguo dell’anno. Eppure, il prezzo da pagare è quello di valutazioni ancora tirate: il P/E forward a 12 mesi resta intorno a 22,4x, con un rapporto rischio/rendimento che impone ancora selettività e gestione attiva.

Europa: earning season in chiaroscuro, la tecnologia salva il bilancio

Dall’altra parte dell’Atlantico, l’Europa fatica a tenere il passo. I numeri dello STOXX 600 per il secondo trimestre raccontano di una crescita degli utili attesa essere limitata al 3,1% anno su anno (6,4% esclusa l’energia), mentre i ricavi scendono del 2%. Solo il 53% delle società batte le attese sugli utili, il 49% sui ricavi: entrambi sotto la media storica, a conferma di una earning season tiepida. Il saldo della sorpresa aggregata è modesto (+5,5% sugli utili rispetto alle stime), mentre la crescita effettiva si ferma a +1,5%. La fotografia settoriale è eloquente: il tech europeo (+26,1% utili) è il faro in un mare di comparti ciclici e industriali in difficoltà, mentre energia e beni di consumo ciclici segnano contrazioni a doppia cifra. Il comparto finanziario è una nota positiva, con un progresso superiore all’11% sui profitti grazie alla tenuta dei margini.

Anche in Europa, dopo mesi di tagli, si assiste a un timido ritorno delle revisioni positive (52% nell’ultima settimana), ma il rapporto prezzo/utili a 12 mesi si mantiene intorno a 14,2x: uno sconto rispetto agli USA, ma ben lontano dai minimi storici.

Gli appuntamenti della settimana: tra inflazione, trade war e la partita degli utili

  1. La scadenza delle tariffe USA-Cina e il rischio di una nuova escalation globale

Il dossier più sensibile della settimana riguarda il confronto tra Stati Uniti e Cina, con una scadenza che potrebbe segnare un punto di non ritorno: il 12 agosto termina la moratoria sulle tariffe, e se un accordo non dovesse essere raggiunto, scatterebbero dazi superiori al 100% su centinaia di categorie merceologiche. Non è solo una questione di commercio internazionale: una simile misura, in piena estate, colpirebbe le catene di approvvigionamento globali, riaccendendo pressioni inflazionistiche in un momento in cui le banche centrali stanno ancora cercando un difficile equilibrio tra stabilità dei prezzi e sostegno alla crescita.

Wall Street guarda ai dettagli: i nuovi dazi colpirebbero direttamente il costo di input strategici, dall’hi-tech all’auto, fino all’abbigliamento, aumentando la pressione sui margini delle aziende e, di riflesso, sui prezzi finali per il consumatore americano. Ma il rischio è soprattutto politico: il protrarsi della tensione alimenta una narrativa di deglobalizzazione che, oltre a scuotere i mercati, rischia di ridefinire la mappa delle alleanze economiche per gli anni a venire.

  1. L’incontro Trump-Putin: diplomazia a un bivio sulla crisi ucraina

Altro snodo decisivo è rappresentato dal vertice programmato tra Donald Trump e Vladimir Putin. Non si tratta di un semplice evento diplomatico, ma di un potenziale turning point per l’intera architettura geopolitica europea e mondiale. Sul tavolo c’è la ricerca di una tregua in Ucraina, scenario su cui il presidente americano ha lasciato intendere la possibilità di “scambi territoriali”,  ipotesi che ha subito suscitato le riserve di Kiev ed europee – entrambi esclusi, al momento, comunque al tavolo dei negoziati.

Una svolta negoziale, anche solo parziale, avrebbe impatti diretti non solo sui flussi energetici, il petrolio è già tornato sotto i riflettori, ma anche sul sentiment degli investitori internazionali. Un cessate il fuoco, anche provvisorio, sposterebbe immediatamente gli equilibri sulle commodity, sui mercati emergenti e sulla percezione di rischio Europa, con ripercussioni dalla volatilità dell’euro, ai titoli della difesa (la scorsa settimana per lo più in calo) alle prospettive di inflazione in area euro.

  1. Inflazione USA: il vero ago della bilancia per la Fed

Martedì e giovedì saranno le giornate più importanti della settimana per Wall Street e per le politiche monetarie americane, con la pubblicazione dei dati sull’indice dei prezzi al consumo (CPI)  e alla produzione (PPI) di luglio. Il mercato scommette su un’accelerazione del CPI al 2,8% annuo, massimo da cinque mesi, e su una componente core stabile al 3%. L’attesa è palpabile: un dato superiore al consensus costringerebbe la Fed a riconsiderare i tempi di un eventuale taglio dei tassi, mentre una sorpresa al ribasso riaprirebbe lo spazio per politiche meno restrittive. Il dato sui prezzi alla produzione (PPI), previsto in crescita dello 0,2% dopo lo stallo di giugno, offrirà invece una lettura in tempo reale delle tensioni nelle catene del valore. L’attenzione si sposta anche sulla componente “import/export prices”, fondamentale per valutare l’impatto immediato delle tariffe: un incremento significativo sarebbe la prima vera conferma che la guerra commerciale ha già iniziato a trasferirsi nei prezzi pagati dalle imprese e dai consumatori.

Non solo dati: la settimana vedrà in scena anche la conferma attesa di Stephen Miran al FOMC, un passaggio chiave per la linea futura della banca centrale americana, e diversi discorsi di funzionari Fed che potrebbero fornire indizi sulla sensibilità dell’istituto rispetto al rischio tariffario e al nuovo quadro inflattivo.

  1. I consumi americani al test di luglio e l’industria che rallenta

Il dato sulle vendite al dettaglio, atteso venerdì, rappresenta un termometro cruciale per la tenuta della domanda interna. Dopo il sorprendente +0,6% di giugno, il consensus vede una lieve frenata a +0,5%. Numeri ancora solidi, ma in un contesto di margini sempre più compressi e con il rischio che l’effetto dazi possa rapidamente erodere il potere d’acquisto.

Lato industria, la produzione americana dovrebbe segnare un calo dello 0,2%, rafforzando la percezione di una fase di debolezza ciclica, tra investimenti più prudenti e scorte in riduzione. Attenzione anche ai dati su sentiment (University of Michigan),  inventari aziendali e agli ultimi scampoli di earning season: Cisco, Applied Materials, Deere, le tech cinesi e le mid/small cap saranno osservate speciali per segnali sulle prospettive di crescita e sulla capacità di difendere la redditività in un contesto macro sempre più sfidante.

  1. Europa: il bivio della crescita e le fragilità di Germania e UK

Sul fronte europeo, la settimana si annuncia cruciale per misurare la reale consistenza della ripresa. In UK, il PIL di giugno (+0,2% atteso) dovrebbe confermare una crescita trimestrale minima (+0,1%), mentre la disoccupazione si manterrà sui massimi dal 2021. A preoccupare è la dinamica dei salari, prevista in rallentamento, che rischia di aggiungere ulteriore pressione sulla domanda interna già zavorrata dall’inflazione.

Il focus si sposta poi sulla Germania, dove l’indice ZEW, atteso in forte calo dopo il recente picco, misurerà il sentiment di investitori e analisti rispetto a un contesto industriale ancora fragile. A livello continentale, attenzione ai dati sulla produzione industriale e alla seconda lettura del PIL dell’Eurozona: una sorpresa negativa riaprirebbe il dibattito sulla reale efficacia delle politiche di stimolo e sulla possibilità di una stagnazione prolungata. Non meno rilevanti i dati sull’inflazione finale delle principali economie continentali, tra cui l’Italia, e la bilancia commericiale italiana, che insieme forniranno un quadro a 360 gradi sulle forze e le debolezze del Vecchio Continente.

  1. Mercati e earning season: volatilità e nuovi equilibri

Sul fronte mercati, la volatilità potrebbe aumentare sia per le scadenze tecniche,con la chiusura dei future sul WTI e la disclosure degli hedge fund sulle posizioni trimestrali, sia per le incertezze macro e geopolitiche. Le trimestrali di colossi come Cisco, Applied Materials, Deere, Alibaba, CoreWeave, Paysafe e altri saranno occasione per testare la resilienza degli utili in uno scenario di crescita rallentata e pressioni sui margini. Da monitorare anche IPO e scadenze dividendi (con Apple, Ford e Target sotto i riflettori).