Nei primi sei mesi del 2025, l’inflazione in Italia non ha seguito un percorso lineare. I dati ufficiali diffusi mensilmente dall’ISTAT mostrano una traiettoria in cui la stabilità apparente dell’indice generale maschera tensioni profonde, distribuite in modo irregolare tra settori, tipologie di beni e canali di spesa. Se si guarda al tasso di inflazione tendenziale, salito da +1,5% a gennaio fino al picco di +1,9% tra marzo e aprile, prima di ridiscendere leggermente a +1,7% a giugno, si potrebbe concludere che il quadro resti sotto controllo. Ma la narrazione che emerge dalle letture mensili è più complessa, e soprattutto più significativa dal punto di vista economico e sociale.
A gennaio, l’ISTAT registra un primo scatto dell’inflazione al +1,5%, trainato quasi esclusivamente dall’impennata dei beni energetici regolamentati, come elettricità e gas in regime tutelato, che segnano un balzo del +27,5% su base annua. L’inflazione di fondo resta stabile (+1,8%) e il cosiddetto carrello della spesa (cioè, i beni alimentari, per la casa e la persona) si ferma a +1,7%. L’impostazione è rassicurante. L’aumento è circoscritto e legato a componenti amministrate, mentre il nucleo dell’inflazione resta sotto controllo.
Febbraio conferma questa dinamica, ma con qualche sfumatura in più. L’inflazione generale sale al +1,6%, i beni energetici regolamentati toccano +31,4%, ma accelerano anche gli alimentari. Il carrello si porta a +2,0%. L’inflazione di fondo scende a +1,7%, e questo dato viene enfatizzato per sostenere la tesi di una stabilità strutturale del quadro italiano. Ma sotto la superficie si cominciano a vedere divergenze: i prezzi amministrati spingono, quelli di mercato iniziano a reagire.
Marzo rappresenta la vera svolta. L’inflazione italiana raggiunge l’1,9%, massimo da inizio anno. L’energia non regolamentata inverte la tendenza e torna in territorio positivo. Gli alimentari freschi salgono al +3,3%. Il carrello della spesa si muove verso l’alto, a +2,1%. La narrativa cambia: non si parla più solo di “effetti tecnici”, ma di pressioni reali e diffuse. Tuttavia, l’inflazione di fondo resta ferma a +1,7%: il cuore dell’indice regge, ma comincia a scricchiolare sotto il peso delle spinte settoriali.
Ad aprile, l’inflazione si mantiene sullo stesso livello di marzo, +1,9%. Ma la composizione cambia: calano gli energetici, salgono alimentari e trasporti (effetto rincari pasquali). Il carrello accelera a +2,6% e l’inflazione di fondo tocca +2,1%, primo segnale che le pressioni stanno risalendo verso il nucleo duro dei consumi. L’ISTAT riconosce questa polarizzazione: il dato headline è stabile, ma dentro l’indice si muove tutto.
Maggio segna un’inversione. L’inflazione generale scende a +1,6%, con una variazione mensile negativa (-0,1%). Rallenta l’energia regolamentata, flettono gli alimentari freschi, ma quelli lavorati accelerano e spingono il carrello al +2,7%. L’inflazione di fondo torna sotto il 2% (+1,9%). Il messaggio implicito è quello di un rientro graduale, ma non privo di contraddizioni: mentre il quadro complessivo si raffredda, l’esperienza quotidiana dei consumatori continua a segnalare tensioni.
A giugno, le stime preliminari mostrano una nuova, lieve accelerazione: l’inflazione torna al +1,7%. L’energia prosegue nella sua fase disinflattiva, ma gli alimentari riprendono vigore. Il carrello sale al +3,1%, toccando livelli che non si vedevano da febbraio 2024. L’inflazione di fondo risale a +2,1%. L’ISTAT sottolinea questo ritorno di tensioni: non sono generalizzate, ma localizzate nei segmenti più sensibili della spesa. La narrativa non è più quella della stabilità: è una narrazione di frizione, di polarizzazione interna all’indice.
È qui che si apre la frattura. Perché mentre l’indice generale si muove entro pochi decimali, il carrello della spesa sale ininterrottamente da gennaio a giugno, allargando mese dopo mese il divario con l’inflazione headline: da +0,2 a +1,4 punti percentuali. Una dinamica costante, silenziosa, visibile solo a chi scompone l’indice nelle sue componenti reali. Anche la mediana delle variazioni mensili dell’indice dei prezzi al consumo racconta una storia simile: dallo 0,1% del primo semestre 2024 allo 0,2% del 2025. Un raddoppio apparentemente marginale, ma coerente con una pressione di fondo che si sta dimostrando più resistente del previsto.
Queste tensioni non sono uniformi, ma colpiscono in modo selettivo. Le classifiche dei maggiori rincari e ribassi, su base dicembre 2024, ne offrono uno spaccato plastico. A gennaio, le spese condominiali guidano gli aumenti (+19,6%), seguite da giochi tradizionali (+10,6%) e supporti di registrazione. In coda, i voli nazionali e internazionali, in forte calo (-32%) dopo i rincari natalizi. Ad aprile, i voli internazionali balzano in testa con un +28% da inizio anno, seguiti da alberghi, motel e pensioni (+16%). In fondo alla classifica, libri non scolastici e gas naturale. A maggio, le pere diventano la voce con il maggiore rincaro da inizio anno: +32%, seguite da giochi tradizionali (+21,8%) e strutture alberghiere (+20,6%). I voli intercontinentali tornano in flessione (-30%). A giugno, secondo le stime preliminari, è ancora il trasporto aereo passeggeri a guidare i rincari (+28%), seguito da servizi di alloggio e pensioni (+21%).
Ma per comprendere davvero l’impatto dell’inflazione sulle famiglie, serve allungare lo sguardo. Se si prende come base gennaio 2020, l’indice generale è salito del 19,2%. Significa che 1.000 euro lasciati fermi sotto il materasso da allora valgono oggi, in termini reali, poco più di 830 euro. Una perdita silenziosa di potere d’acquisto, che chi ha lasciato liquidità non remunerata ha subito senza rendersene conto.
Anche in questo caso, la media nasconde realtà molto diverse. I voli nazionali sono cresciuti del +167%, gioielleria e orologeria del +71%, gli alberghi del +63%. A bilanciare, almeno in parte, questa erosione, restano alcune sacche di disinflazione strutturale. La telefonia, i dispositivi audio-video, i supporti digitali e i servizi di comunicazione registrano ribassi di lungo periodo, grazie a dinamiche di innovazione, concorrenza globale e obsolescenza programmata. Ma si tratta di eccezioni in un panorama che continua a salire.
E la risposta delle famiglie a questa erosione è già visibile nei dati del primo trimestre 2025. Se i numeri dell’inflazione headline e di fondo non sembrano ancora preoccupare la BCE, lo stesso non si può dire dei bilanci domestici. Secondo i conti trimestrali ISTAT, il potere d’acquisto delle famiglie è cresciuto appena dello 0,9%, mentre la propensione al risparmio è tornata a salire (dall’8,7% al 9,3%) non per fiducia, ma per cautela. I consumi finali sono aumentati dell’1,2%, meno del reddito disponibile (+1,8%). In altre parole: le famiglie spendono meno non perché risparmiano con entusiasmo, ma perché si proteggono. È un comportamento coerente con un’inflazione che colpisce in profondità beni essenziali, pur restando sotto i radar delle metriche ufficiali. Il carrello sale, ma l’indice rassicura. E tra le due cose, le famiglie italiane scelgono di fidarsi della propria esperienza. Una distanza che oggi pesa più dei decimali nei bollettini monetari.
L’inflazione in Italia resta quindi contenuta nei numeri headline, ma i movimenti più rilevanti si nascondono sotto la media. E il carrello della spesa, cresciuto dal +1,7% al +3,1% in sei mesi, non è solo un indicatore statistico. È una misura concreta della distanza tra la normalizzazione dell’indice e la percezione reale dell’economia. Una distanza che, oggi più che mai, pesa più della cifra finale.