Schengen Militare: L’Europa Accelera. Ecco Dove si Muovono i Capitali

L’Europa si è accorta che i suoi confini sono muri di carta per la burocrazia, ma d’acciaio per la logistica. Un convoglio militare che attraversa il continente oggi è un paradosso kafkiano: armamenti del XXI secolo fermati da timbri del XIX. Se un carro armato impiega settimane per attraversare le frontiere europee a causa della burocrazia, quel carro armato è, di fatto, inutile.

Il Parlamento lo ha capito. Il voto del 17 dicembre 2025 segna uno spartiacque. La difesa non è più una questione di “quanti” pezzi produci, ma di “quanto velocemente” li sposti. Settimane per attraversare l’Unione, ora l’obiettivo parla di tre giorni in tempo di pace, ventiquattro ore in caso di crisi. Il divario è così ampio da sembrare quasi imbarazzante. È questa la visione dietro la risoluzione del Parlamento Europeo con 493 voti a favore. 127 contrari. 38 astensioni. Un segnale forte. Non vincolante, ma politico. Chiaro. Nasce lo Schengen Militare. Un’opportunità che sposta il baricentro degli investimenti dai soli sistemi d’arma alla logistica integrata. Il mercato ha finora premiato chi produce proiettili. Ora la scommessa si potrebbe spostare su chi permette di muoverli in tempo.

 

Nel bilancio 2021-2027, l’UE aveva stanziato circa 1,7 miliardi per la mobilità militare. Tagliati del 75% poi dagli Stati membri. Ora la Commissione propone (nulla ancora di certo) oltre 17 miliardi di euro per il prossimo quadro finanziario 2028-2034. Dieci volte di più. E non basta. Ammodernare 500 “punti critici” (ponti, gallerie, ferrovie, strade) costerà almeno 100 miliardi.  E quella forbice da 83 miliardi non è un vuoto, ma una struttura invisibile fatta di fondi di coesione, BEI, strumenti dual use e incastri tecnici che permettono di finanziare la difesa attraverso canali civili. È in questo spazio che la politica incontra i mercati. La cifra pubblicata serve ad avviare il motore, il resto scorre nelle tubature nascoste del bilancio europeo.

La logistica militare è fisica, prima ancora che tecnologica. Ingegneria civile pesante. Un Leopard 2A7 pesa circa 67 tonnellate. Una compagnia intera, caricata su un convoglio ferroviario, arriva a migliaia di tonnellate. Un ponte che regge un camion commerciale può cedere sotto il peso di questi martelli. Se l’Europa vuole muovere reparti dal Baltico all’Adriatico deve rafforzare il suolo, non solo le intenzioni. Non è una metafora geopolitica, è un capitolato tecnico. Il terreno deve sostenere la strategia.

E qui si apre la mappa delle opportunità. In Italia pensiamo a Buzzi. Forte in Germania e Polonia, le aree che costituiscono la dorsale logistica dell’Est europeo. Il cemento non viaggia, o meglio, viaggia male. Vie di trasporto costose, margini che evaporano. Vince chi è vicino ai cantieri. Se i ponti da rinforzare sono soprattutto lungo i corridoi orientali, Buzzi si trova esattamente dove serve. Il vantaggio geografico diventa fattore industriale. Cementir gioca poi un’altra partita, più tecnica. Il cemento bianco, i materiali ad alte prestazioni, gli additivi che rendono un ponte più resiliente ai carichi dinamici estremi. È la parte del dual use che spesso non viene raccontata. Un’infrastruttura può essere civile e militare allo stesso tempo, e quando serve superare standard di resistenza non più pensati per l’automotive, ma per colonne di mezzi corazzati, servono materiali che non tutti sanno produrre.

Heidelberg Materials è l’altra grande tessera. Germania e Polonia sono l’hub logistico della NATO in Europa. Se devono essere rinforzate dorsali ferroviarie e autostradali, è difficile immaginare che un colosso con radici così profonde non sia coinvolto. E il management, non a caso, ha già inserito la spesa per difesa e infrastrutture tra i driver strutturali della crescita al 2030. Le aziende dei materiali si stanno preparando prima ancora che i governi formalizzino i bandi.

La catena delle grandi opere segue la stessa logica. Webuild, Vinci, Ferrovial, Hochtief, Alstom. Chi costruisce ponti e gallerie ha davanti un ciclo decennale, alimentato non dall’umore della congiuntura ma da una scelta strategica che non dipende dal PIL. Il flusso di capitali sarà distribuito tra bilanci nazionali, fondi di coesione, BEI, EDIP, TEN-T. Non sarà lineare. Sarà continuo. E i contractor vivono di continuità, non di picchi.

Poi c’è il capitolo difesa pura. Rheinmetall, Saab o Rolls Royce, per citarne alcuni, restano centrali. Ma i multipli attuali raccontano una storia già incorporata nei prezzi. La domanda da farsi non è “correranno ancora?”, ma “quanto è già stato prezzato?”. Il rischio è evidente. Se gli ordini rallentano, o se la politica indugia, la valutazione non perdona.

Diverso invece il posizionamento di Leonardo e Indra. Integrano sistemi, autorizzano movimenti, gestiscono traffico, radar, cyber. Lo sportello unico della mobilità militare non è un’idea, è software. È interoperabilità. È la parte invisibile, ma decisiva, del sistema. Ed è anche il punto in cui gli investitori possono trovare multipli meno compressi. Leonardo scambia su multipli P/E NTM di 22,2x e Indra di 21,3x rispetto al 42x di Saab o il 39,5x di Rheinmetall.

E poi c’è il capitolo più delicato. I soldi. I 17 miliardi sono l’avvio.Il grosso arriverà dai fondi di coesione, ora utilizzabili per opere dual use. È un cambio storico. Formalmente non si finanzia una strada per far passare carri armati. Si finanzia una strada che stimola l’economia locale, e incidentalmente è abbastanza robusta da far passare carri armati. Il linguaggio cambia, la sostanza no. La BEI, poi, ha compiuto una svolta che fino a tre anni fa sarebbe sembrata impensabile: finanziare la difesa dual use. Prestiti da miliardi, garanzie, leva per attirare capitali privati. È un modo elegante per aggirare i vincoli politici del bilancio e accelerare i progetti senza aumentare apparentemente la spesa militare.

I problemi però non spariscono. Gli scartamenti ferroviari diversi sono un incubo ingegneristico. La promessa delle 24 ore può evaporare al primo cambio di binario. L’inflazione dei materiali non è un dettaglio. Cento miliardi oggi comprano meno di cento miliardi quattro anni fa. E i cantieri lo sanno meglio dei governi.

Lo Schengen militare non è un bando. Non è un progetto. È un cambio di paradigma. La difesa si sposta dai soli arsenali alle strutture, ai terreni, alla logistica. I confini non sono linee sulla carta. Sono ponti che devono reggere il peso della geopolitica.

Chi costruisce il cannone resta importante. Chi costruisce la strada che gli permette di arrivare al fronte potrebbe diventarlo ancora di più.