Mercati ai massimi, ma gli equilibri cambiano: tra Fed, AI e rotazioni globali

Le Borse continuano a correre, euforiche ma più instabili che mai. Lo Stoxx 600 ha messo a segno il suo 23° massimo storico dell’anno solo mercoledì, mentre lo S&P 500 ne aveva già registrati 36 a fine ottobre. Numeri che raccontano forza, ma anche l’altra faccia dell’euforia: la volatilità.

Dopo settimane di calma quasi innaturale, tra fine agosto e settembre lo S&P 500 non aveva registrato nemmeno una seduta con variazioni superiori all’1% in valore assoluto, la volatilità è tornata a farsi sentire dal 9 ottobre.

S&P 500 2025: drawdown al -18% a marzo, seguito da ripresa euforica. Quiet Streak (sessioni con |var| <1%) tocca picchi oltre 30 giorni in estate e novembre – segnale di calma innaturale prima del ritorno della volatilità. Dati al 13 novembre 2025 – eToro

Il ritorno dell’escursione giornaliera non è un segnale di debolezza, ma di tensione accumulata, di un mercato dove ogni massimo porta con sé nuove aspettative e, insieme, nuovi rischi.

Quella di ieri è stata una giornata che ha riportato alla realtà. Nessun dato macro, nessun evento straordinario, eppure l’ottimismo si è dissolto in poche ore. Un’ondata di volatilità pura, partita dagli Stati Uniti e propagatasi in Asia e in Europa, come un’eco di un sistema troppo carico per reggere la propria fiducia.

In Europa la correzione ha assunto volti diversi. A Francoforte, il crollo di Siemens (-9,4%) e Siemens Energy (-5,9%) ha affossato il DAX. A Parigi, il lusso ha perso smalto: LVMH e Hermès entrambe in calo dell’1,6%. A Milano, Azimut (-10%) ha pesato sul listino, ma il comparto bancario ha contenuto l’impatto.

Il centro della scossa, però, resta Wall Street. Il sell-off ha colpito i titoli simbolo del ciclo tecnologico: Tesla e Nvidia, che insieme valgono poco più del 10% del paniere, hanno contribuito per -44 punti base su un calo complessivo del -1,63% del VOO. Due soli titoli, più di un quarto della discesa dell’intero indice. Estendendo lo sguardo alle Magnifiche Sette, la loro somma spiega quasi la metà del ribasso di ieri (-78 punti base, pari al 48%), che sale al 52% con l’aggiunta di Broadcom.

Quando i pilastri dell’AI vacillano, l’intero mercato perde equilibrio (ricordando come il solo settore tecnologico incide per il 35% del paniere e i semiconduttori per il 13%). In tutto, 371 titoli dell’S&P 500 hanno chiuso in rosso la seduta di ieri. Solo l’energia è riuscita a restare a galla (+0,25%), mentre tecnologia e consumo discrezionale hanno guidato i ribassi (-2,5%).

E dietro i numeri, un dato tecnico che è utile ricordare: 158 titoli dell’S&P 500 scambiano a più del 20% dai massimi adj. delle ultime 52 settimane. Da Meta (-23%) a Oracle (-37%), la dispersione interna cresce. Non è crisi, ma diciamo sfiducia selettiva.

Ma sul piano macro, i movimenti cross-asset raccontano un’altra verità. Rendimenti in salita, oro in calo, petrolio in rialzo. Non il quadro di un panic sell, ma di una correzione da valutazione. La forza dei settori difensivi e quality, unita al rialzo del VIX, mostra un mercato che non fugge ma che si riorganizza.

Eppure, paradossalmente, la giornata avrebbe dovuto portare sollievo. La fine dello shutdown americano chiudeva una delle pagine più surreali dell’autunno (sebbene l’accordo sia solo una tregua e non una pace). Ma quella che doveva essere una soluzione è diventata la nuova fonte di incertezza. Perché la sospensione dei dati economici ha lasciato la Fed senza visibilità, in un contesto dove il mercato del lavoro già mostrava segnali di raffreddamento.

La metafora è semplice: la banca centrale è su un’autostrada di tagli, ma nella nebbia dei dati non accelera. Rallenta. Il problema è capire se rallenterà soltanto o se si fermerà del tutto.

Le parole di alcuni membri del FOMC, sempre più hawkish, hanno ridotto la probabilità di un taglio a dicembre al 50,4% – un mese fa era del 94% – un vero lancio di moneta. E il mercato, privato del suo punto di riferimento, ha reagito come chi si accorge di non avere più la bussola. Ma se la Fed non dovesse tagliare, la ragione sarebbe un mercato del lavoro forte, che è ciclicamente positivo.

Probabilità taglio Fed dicembre 2025: crollata dal 94% di un mese fa al 50,4% attuale. Mercato in bilico tra dati mancanti e toni hawkish FOMC - la 'bussola' della Fed si è spenta. Dati CME FedWatch al 14 novembre 2025 - eToro

La narrativa dell’AI si è scontrata con il reality check delle valutazioni, amplificata dall’assenza di dati ufficiali e dal retro front della Fed. In un mondo di multipli tirati, basta poco per far riaffiorare la paura.

Anche il mercato crypto ha pagato il prezzo della correzione globale. Bitcoin è sceso sotto i 100 mila dollari, entrando tecnicamente in bear market (-23% dai massimi del 6 ottobre). Solo nella giornata di giovedì, gli ETF spot su Bitcoin USA hanno registrato 869,9 milioni di dollari di deflussi netti, il secondo peggior dato dalla loro nascita. Il Grayscale Bitcoin Mini Trust ha guidato le uscite con 318 milioni, seguito da BlackRock IBIT (-256,6 mln) e Fidelity FBTC (-119,9 mln).

ETF Bitcoin: deflussi record di $869M in un giorno (13 novembre 2025), il secondo peggior outflow dalla nascita. AUM a $130.5B, BTC sotto $100k (-23% dai massimi). Anche il crypto paga il reality check dell’AI e della Fed - SoSoValue

Perfino Michael Burry, l’uomo che anticipò la crisi dei subprime, ha annunciato la liquidazione del suo fondo Scion Asset Management.

“Con il cuore pesante”, ha scritto agli investitori, “liquiderò i fondi e restituirò il capitale entro fine anno. La mia stima di valore nei mercati non è più in sintonia con essi.”

Parole che suonano come una resa simbolica di un’intera generazione di value investor – da Burry a Einhorn passando per Chanos – schiacciata da un decennio di mercati direzionali in cui il giudizio razionale è diventato irrilevante.