Il volo di Icaro del Tech e la rivincita della “plebe”

Si è chiusa una settimana densa di appuntamenti sui mercati, un vero ottovolante emotivo dove non è bastata la Fed, con le sue sfumature e i suoi messaggi, a sostenere l’impalcatura dei listini. Quello che emerge, osservando il grafico in chiusura, è una verità tanto semplice quanto spigolosa: il mercato ha deciso di cambiare pelle, togliendo momentaneamente la corona al sovrano indiscusso dell’anno. Le ultime sedute ci hanno infatti restituito l’immagine di un mercato bifronte, trascinato al ribasso dalla sua punta di diamante storica: il settore tecnologico. Appesantito dai conti in chiaroscuro di colossi come Broadcom (-7,8%)  e Oracle (-12,7%), il comparto Tech ha smesso i panni del traino per indossare quelli, decisamente più scomodi, della zavorra.

Grafico rotazione settoriale mercati e andamento settore Tech vs S&P500

Se ci immergiamo nei dati, la fotografia è impietosa e racconta una storia di rotazione settoriale, ma anche di democrazia finanziaria. Mentre il Tech (XLK) chiude la settimana come fanalino di coda (-1,98%) e il Nasdaq 100 lascia sul terreno l’1,93%, il “tangibile” brilla. Il settore dei Materiali (XLB) svetta con un perentorio +2,40%, seguito dai Finanziari (XLF, +2,37%) e dagli Industriali (XLI, +1,40%).

Ma la vera notizia è nascosta nelle pieghe della ponderazione. Guardate lo S&P 500: l’indice scende del 0,63%, schiacciato dai giganti, ma la sua versione equiponderata (misurata dall’ETF RSP), dove la piccola azienda conta quanto Nvidia, sale del +0,73%. È la prova regina: il mercato non fugge dal rischio tout court, sta solo riallocando le fiches. A confermarlo c’è il Russell 2000, l’indice delle piccole e medie imprese, che porta a casa un ottimo +1,19%. I generali arretrano, ma la truppa avanza compatta.

Per capire la violenza psicologica di questo ritracciamento, dobbiamo guardare al curriculum del caduto. Il settore tecnologico non è un settore qualunque: oltre ad essere il peso massimo di Wall Street, con un’incidenza del 34,9%, è il “primo della classe” indiscusso del 2025, con una performance Year-to-Date del +24,17%, superiore a qualsiasi altro comparto. Non solo: nel corso del 2025, il Tech è salito sul gradino più alto del podio (miglior settore di giornata) per ben 45 volte, una dominanza seconda solo all’energia.

Eppure, proprio lì dove l’ascesa sembrava infinita, con quella sequenza di 13 sedute consecutive al rialzo chiusa il 10 dicembre, il mercato ha presentato il conto. Non è un cambio di direzione, è una questione di standard: quando i prezzi incorporano la perfezione, non sono ammesse sbavature (si guardi ad Oracle e Broadcom). Al primo segnale di incertezza, la tolleranza è zero.

Tuttavia, chi parla di inversione dovrebbe guardare meglio la statistica delle “maglie nere”. È vero, l’11 e il 12 dicembre l’XLK è stato il peggior settore di Wall Street, con uno spread di performance rispetto al resto del gruppo che venerdì ha ricordato i livelli di fine gennaio. Ma c’è un dato che funge da paracadute: indossare la “maglia nera” per due sedute consecutive è un evento rarissimo che non si verificava dal 24 febbraio 2025. Ed ancora, nel 2025, l’XLK non ha mai registrato più di 3 sedute consecutive come ultimo della classe. La serie negativa record si ferma a 3 giorni (registrata tra il 23, 24 e 27 gennaio). Oggi siamo a quota 2. Questo ci suggerisce che, statisticamente, l’elastico è già molto teso verso il basso e potremmo essere vicini a un punto di reazione, non a un baratro.

La correzione ha nomi e cognomi pesanti: i Magnifici 7, ad esempio, cedono complessivamente il 2,17%. Meta scivola del 4,33%, Nvidia del 4%, Google del 3,6%. In questo scenario rosso, Tesla recita la parte dell’outsider: unica positiva (+0,87%) e alla terza settimana consecutiva di rialzi. Ma attenzione ai dettagli: Tesla è anche l’unica del gruppo a non aver segnato nuovi massimi storici in questo 2025.

Sarebbe un errore di miopia scambiare questa correzione dei mercati per un requiem. La divergenza tra il Dow Jones (+1,05%) e il Nasdaq racconta che il cuore pulsante dell’economia batte ancora forte. Il mercato ha tolto la liquidità lì dove le valutazioni erano vertiginose (Tech) per riversarla dove c’era valore inespresso. Non è una fuga, è una sana fisiologia. Il Tech tira il fiato dopo una corsa/volo da Icaro, la Old Economy alza la testa. E forse, per la salute a lungo termine del trend, questa è la notizia migliore che potevamo ricevere.

Week Ahead: Una settimana da “Tutto o Niente”

Se pensavate che i mercati avessero già tirato i remi in barca per le festività, la settimana entrante vi costringerà a rivedere i piani.

USA Gli Stati Uniti si preparano a recuperare il tempo perduto. Martedì 16 sarà una giornata importante: il Dipartimento del Lavoro pubblicherà il report sull’occupazione, ritardato dallo shutdown amministrativo, con un dato che unisce in un unico rilascio i payrolls di ottobre e novembre. Il mercato attende un aumento di circa 35 mila posti a novembre e un tasso di disoccupazione stabile al 4,4%. Un quadro che non sorprende, ma che sarà cruciale per capire quanto spazio reale abbia la Fed nella roadmap verso il 2026.

Subito dopo arrivano il CPI di novembre e le vendite al dettaglio di ottobre. L’inflazione è attesa al 3,2% sia nella versione headline sia in quella core. Le vendite al dettaglio sono previste in rialzo dello 0,2%, lo stesso passo di settembre, il più lento da maggio. A incorniciare il quadro, avremo anche gli indici manifatturieri di New York e Philadelphia, i PMIs flash di dicembre, la fiducia del settore immobiliare e i dati sulle vendite di case esistenti.  È una settimana che non ammette sfumature: o i dati confermeranno la resilienza a stelle e strisce, o il “soft landing” tornerà ad essere messo in discussione.

Sul palcoscenico della politica monetaria poi nella settimana saliranno pochi attori, ma portatori di visioni decisamente contrastanti. Ad aprire le danze sarà lunedì il governatore Miran, tutt’altro che una voce di contorno. La sua figura è ormai quella del “dissidente seriale”: nelle ultime tre votazioni, mentre il consenso si cristallizzava su riduzioni da 25 punti base, Miran ha rotto l’unanimità chiedendo sforbiciate più profonde. Ben diversa, ma altrettanto cruciale, l’attesa per Christopher Waller. Il suo approccio pragmatico assume oggi un peso specifico diverso se ricordiamo il suo pedigree recente: fu lui, insieme alla Bowman, a vedere lungo già nella riunione di luglio, votando per un taglio immediato quando il resto del board scelse l’attesa. Quella mossa lo ha accreditato come un anticipatore del ciclo, rendendo la sua attuale dottrina del “riunione per riunione” non un segno di incertezza, ma la strategia di chi vuole leggere i dati in tempo reale, senza dogmi precostituiti. A muoversi accanto a loro, i due pesi massimi regionali. Da un lato John Williams, il “numero due” operativo, la cui voce prudente cercherà di ricucire gli strappi e tracciare un sentiero condiviso per gennaio, riecheggiando la cautela di Powell. Dall’altro Raphael Bostic, ormai ai saluti finali e senza diritto di voto nel 2026. La sua presenza offrirà spunti più filosofici che operativi, un rumore di fondo che il mercato, concentrato sulle dissonanze di Miran e sulle intuizioni di Waller, potrà permettersi di ascoltare con distacco.

Europa:Dall’altra parte dell’Atlantico il Vecchio Continente vivrà il suo momento della verità giovedì 18, con un duello a distanza tra Francoforte e Londra. A Francoforte ci si attende una BCE in pausa, con tassi fermi e nuove proiezioni macro che dovranno chiarire se la resilienza economica imponga davvero un cambio di passo nel 2026.Oltremanica, la musica cambia. La Bank of England è attesa al taglio: -25 punti base al 3,75%. Con un’inflazione che scivola verso il 3,5% e una domanda interna che rallenta, Londra sembra pronta ad aprire i cancelli della liquidità, divergendo dai colleghi europei.

Sul piano dei dati la settimana è altrettanto carica. Arrivano i PMI di dicembre per Francia, Germania, Italia e Regno Unito, mentre per la Germania si attendono i due indicatori simbolo del ciclo: ZEW e Ifo, entrambi visti in miglioramento. Nel Regno Unito verranno pubblicati occupazione, prezzi al consumo e vendite al dettaglio. La disoccupazione è attesa al 5,1%, massimo da inizio 2021. Un terzetto che dirà molto sulle fragilità residue dell’economia britannica.

Asia: In Giappone tutti gli occhi sono puntati sulla Bank of Japan, pronta a una mossa storica. Le attese sono per un rialzo dei tassi dallo 0,5% allo 0,75%, un segnale forte che l’era dei tassi a zero è definitivamente archiviata. Dall’altra parte Pechino risponderà con i dati “hard” di novembre: produzione industriale, vendite al dettaglio e disoccupazione. Saranno la cartina di tornasole per capire se gli stimoli stanno davvero rianimando il gigante asiatico o se si tratta solo di cosmesi statistica.

Non solo macro. La microeconomia offrirà spunti cruciali con le trimestrali di colossi che fungono da barometro globale: FedEx (logistica e commercio mondiale), Nike (consumi discrezionali), Accenture e Micron (tech e AI). Il tutto culminerà venerdì 19 con le “Tre Streghe” (Triple Witching): la scadenza simultanea di future e opzioni che promette di iniettare una dose massiccia di volatilità tecnica proprio mentre nelle sale esce (film Disney) Avatar: Fire and Ash, quasi una metafora di un mercato che spera di chiudere l’anno col botto e non con la cenere.